da “Valsugana News” 6/2024
In un precedente articolo, avevo evidenziato come al giorno d’oggi molte coppie preferiscono convivere. Questo rende difficile, oggi, stabilire la durata di queste unioni e fa sì che i dati sulle separazioni e sui divorzi che vengono registrati solo se chi vi ricorre ha contratto un matrimonio religioso o civile, risultano quindi solo indicativi di una tendenza. In questi ultimi trent’anni, comunque, l’aumento è stato esponenziale.
Secondo i dati ISPAT, nel 1993, i divorziati in Alta Valsugana e Bersntol furono 246 e in Bassa Valsugana e Tesino 111. Nel 2022, rispettivamente 2.432 e 976. Ma al di là dei dati statistici, si è colpiti dallo stillicidio di coppie che in questi ultimi anni si lasciano con troppa facilità. A tale proposito, avevo citato lo psicanalista Massimo Recalcati che attribuiva la responsabilità di questo fenomeno al neoliberismo e al conseguente consumismo odierno e cioè al fatto che oggi i legami affettivi hanno la durata di un prodotto che noi acquistiamo e che cambiamo appena sopraggiunge quello nuovo. Un concetto analogo a quello espresso dallo psicologo James Hillman (“Il codice dell’anima”), il quale afferma che “la fedeltà dal punto di vista del capitalista è controproducente. Occorre per forza aspirare al nuovo che produce sempre la stessa insoddisfazione”.
È una spiegazione che sicuramente interpreta il tempo in cui viviamo, ma non è certo la sola. Ha anche a che fare, a mio parere, con l’educazione familiare ricevuta dalle ultime generazioni come il dare ai figli le cose prima ancora che siano da loro richieste o desiderate. Il coprirli di regali ingiustificati. Il sottrarli a ogni frustrazione perché, poverini, non gli deve mancare nulla, ecc. Il risultato è che, da grandi, di fronte alle prime difficoltà che la vita di coppia inevitabilmente presenta, non sono attrezzati ad affrontarle e mollano tutto per tornare magari tra le braccia di mamma e papà a farsi leccare le ferite. Ciò credo sia anche collegato al “plusmaterno” come l’ha definito la psicanalista Laura Pigozzi (“Mio figlio mi adora”) e di cui ho parlato nell’articolo di maggio e cioè a quel rapporto di eccessivo attaccamento di tante madri ai loro figli che ha caratterizzato queste ultime generazioni, senza un padre che sappia rompere questa simbiosi per riavere la sua donna altrimenti assorbita completamente dal ruolo di madre. È il padre, infatti che proietta suo figlio nel mondo rendendolo così capace di avere altre relazioni. Solo a queste condizioni, dice ancora la Pigozzi (“Amori tossici”), è possibile un amore.
Molto probabilmente, certe giovani coppie sono anche vittime di una concezione sbagliata dell’amore, di quello, per intenderci, da telenovela, che pensa di poter protrarre all’infinito l’amore romantico proprio della fase dell’innamoramento durante il quale c’è un temporaneo crollo dell’identità di ciascuno e avviene una simbiosi completa fra i due. Ma poi, quando il fiume in piena della fase nascente rientra negli argini dell’identità di ciascuno e cominciano a emergere le differenze, le diverse personalità, i gusti individuali…, l’incantesimo si rompe e i due o si separano o cominciano realmente ad amarsi. Scrive lo psicanalista Guy Corneau (“L’amore possibile”) :“La scoperta di essere adatti alla felicità senza amore romantico è cruciale per la nuova intimità. Meno si dipende dal proprio partner per la propria felicità, più la vita a due diventa arricchente”. È ciò che sostiene con dei bellissimi versi anche il poeta libanese Kahlil Gibran (“Il Profeta”) quando afferma: “Lasciate spazio nella vostra unione/ Lasciate che la brezza del cielo danzi tra di voi/ […] Siate vicini l’uno all’altro, ma non troppo/ Le colonne del tempio hanno giusti inter- valli/ Né le querce e i cipressi crescono l’uno all’ombra dell’altro”.
La vita di coppia, in effetti, dovrebbe servire a migliorarsi a vicenda, ma forse ci si è spinti troppo a voler cambiare l’altro inseguendo un amore ideale che non esiste? Un partner ha coltivato più interessi, più relazioni, più soddisfazioni anche grazie a un’attività lavorativa gratificante mentre l’altro è rimasto fermo? Oppure un partner o ambedue sono stati troppo assorbiti dal lavoro e così hanno trascurato il loro rapporto? Sono state le tensioni dovute alla crescita dei figli a creare delle crepe divenute via via insanabili? L’uomo non si è sentito accettato, valorizzato, ammirato dalla propria donna, ma trattato come un bambino? Per converso, la donna si è sentita trascurata e poco capita nei suoi sentimenti? Ci sono stati motivi molto seri come la violenza all’interno della coppia a decretarne la fine? L’uno o l’altra si sono lasciati andare anche fisicamente tanto “ormai si sono già piaciuti” e così si è spento il desiderio reciproco e la sessualità ha perso valore? Se è vero che “amore, sessualità ed eros” come afferma Eva Pierrakos (“Unione creativa”), devono procedere e fondersi assieme si è trascurato uno dei tre? Forse un partner si è illuso che solo con un altro/a poteva ritrovare l’eros, l’ebbrezza dell’amore? E perché così poche coppie, quando sono in crisi, hanno l’umiltà di chiedere aiuto anziché disfare tutto? Vale anche in questo caso la logica consumistica che quando si rompe qualcosa va per forza buttato? Chiudo citando ancora la Pierrakos: “Creare un rapporto stabile e solido nel matrimonio è la più grande vittoria che un essere umano possa ottenere, anche se è veramente arduo” e arriva a dire che “il cimentarsi in questo compito avvicina a Dio più di qualunque buona azione”.
Giorni fa, quando ho visto una coppia anziana camminare in una stradina di campagna mano nella mano come due ragazzini, ho pensato che forse loro ci erano riusciti.
a cura di Paolo Degasperi, psicopedagogista e sociologo