IL TRENTINO, L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E IL FUTURO DELL’AUTOGOVERNO

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Le ACLI Trentine hanno organizzato una conferenza dibattito dal titolo

IL TRENTINO, L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E IL FUTURO DELL’AUTOGOVERNO

L’incontro si è tenuto il 17/9 scorso e di seguito riporto quello che a me è parso importante per capire meglio in cosa consiste la cosiddetta “Legge Calderoli”, una legge ordinaria che dà attuazione alla precedente riforma costituzionale del Titolo V voluta nel 2001 dal centrosinistra e che tendeva a decentrare parte del potere dallo Stato alle Regioni.

Ecco la sintesi degli Interventi:

FABIO SCALET, ex dirigente della Provincia Autonoma di Trento e Presidente della Commissione dei 12  (2019 – 2024)

L’attuale legge va inserita nell’attuale quadro istituzionale, la cui cornice proviene da lontano, dalla situazione post bellica. Le Regioni statuto speciale (5) nascono ancora prima della Costituzione che ne ratifica l’esistenza e contestualmente riconosce 15 Regioni a statuto ordinario.

Nel 2001 con la riforma costituzionale del titolo V, voluta dal centrosinistra, si cerca di rafforzare il ruolo delle Regioni, ma questa intenzione viene molto ridotta (specialmente con interventi della Corte Costituzionale) anche a seguito della difficile situazione economica e del già alto debito pubblico.

Si arriva così alla legge 86 del 26.6.2024 che prevede l’attuazione dell’autonomia differenziata, anche per dar seguito alle richieste delle 3 Regioni del nord (Veneto, Lombardia e Emilia Romagna) di poter decidere su determinate materie.

Praticamente è una legge quadro, ma, benché abbia solo 11 articoli, risulta molto complessa. L’articolo 1 ne descrive le finalità ed è un “ondeggiare” tra unitarietà e decentramento, condivisione, solidarietà, ecc. per non scontentare né nord né sud. Fondamentale risulta la determinazione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), per 13 materie su 20, validi per tutto il Paese e per questo il compito spetta allo Stato. I LEP sono evidentemente collegati a livelli di fabbisogno e spesa e quindi subordinati alla copertura finanziaria.

Una questione delicata per la nostra autonomia è quanto recita l’art.11 della Legge, allorché parla di standard delle prestazioni oltre cui la regione/provincia autonoma non potrebbe andare; ciò per assurdo potrebbe comportare contestazioni da parte dello Stato nel caso in cui le nostre prestazioni fossero oltre questo standard.

GIANFRANCO POSTAL, docente di Finanza pubblica, Dipartimento di Scienze giuridiche Università di Udine

La relazione Stato – Regioni a statuto speciale si fonda su rapporti bilaterali, mentre quella con le Regioni Ordinarie è regolata da leggi mai attuate se non per la sanità e per altre questioni di poco conto; regna sovrana l’incertezza; ecco perché la Corte Costituzionale dal 2001 ha dovuto supplire all’inoperatività del Parlamento per quanto riguarda l’attuazione del titolo V.  Su questo sistema che non funziona si inserisce la legge Calderoli, che fa seguito alla legge Calderoli 1 del 2009 che richiamava la riforma del 2001.

Nella finanziaria 2023 vengono definiti i LEP e i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che sono la sostanza materiale dei diritti civili e sociali (diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, ecc.).

La positività della legge 86 è che diventa l’occasione per fare il punto su tutto ciò che finora non è stato fatto, mette a nudo l’Italia delle diversità socio-economiche, in particolare la “questione meridionale” a seguito di una cattiva distribuzione del PIL: il reddito medio in Calabria è di 16.000 €, mentre a Bolzano è di 50.000 €. Su questo lo Stato deve fare un’operazione di riequilibrio.

La legge non spiega quali sono le forme di autonomia differenziata (potestà legislativa in che materie e in quali limiti e così per la potestà amministrativa).

Infine ovviamente i LEP andranno definiti vicini a chi sta attuando le prestazioni migliori, ma ciò comporterà un aumento di spesa che non troverà copertura.

Quindi la legge 86 è l’occasione per affrontare finalmente il problema delle differenti condizioni socio economiche di chi risiede in una parte del Paese e di chi in un’altra.

ANDREA LA MALFA Presidente ARCI del Trentino e Portavoce del Comitato Referendario per il NO

Questo governo è sostenuto da tre partiti: la Lega che chiede l’autonomia differenziata, FDI che chiede il Premierato e FI che vuole la riforma della giustizia con la riduzione dell’autonomia della Magistratura, oltre che la caduta dell’obbligatorietà dell’azione penale. Pensiamo che incrinando uno di questi tre pilastri, potremmo destabilizzare l’intero gruppo di maggioranza.

Già dall’art. 1 della legge 86 ci si rende conto di quanto il legislatore non ha le idee chiare: dice tutto e il contrario di tutto, la legge sarà di difficile applicazione. Basta leggere l’articolo per rendersi conto di quanto sia complicato comprenderne il significato. Come conciliare la secessione con il centralismo. I LEP non vengono definiti e sono indispensabili per 13 materie su 20.

Anche noi Trentini dovremmo interessarci alla questione (anche se non ci riguarda molto) soprattutto per un motivo culturale: dobbiamo abituarci ad allargare lo sguardo anche oltre i nostri stretti confini di casa.

LORENZO DELLAI, ex Presidente della Provincia Autonoma di Trento

Non nego di essere contro questo governo, ma voglio tenere una certa coerenza come dovrebbe avere anche il Centro-sinistra. Bisogna tener conto che sono passati 23 anni da quando il Parlamento ha approvato la riforma costituzionale del titolo V; il centro-sinistra votò a favore e la destra contro. Ci rendevamo conto che la Costituzione prevedeva che lo Stato potesse essere regionalista. Ancora oggi l’Italia è uno stato centralista, ma andrebbero riequilibrati i poteri per renderlo più efficiente, più partecipato, più condiviso, più vicino alle Comunità. Questo non è mai decollato relativamente alle regioni ordinarie ed oggi considerando anche l’Europa, questa incertezza tra centralismo statalista e regionalismo non applicato, esterna una grande fatica a cedere potere e sovranità all’Europa e contestualmente vediamo rigurgiti nazionalisti.

Io vedo tre errori (due + uno):

1° errore: per come la legge è stata scritta a motivo della trilogia premierato (FDI), autonomia differenziata (Lega), riforma della giustizia (FI). Ciò ha portato a una stesura che sa di bandiera, ci sono lacune notevoli; ha individuato dei LEP senza un preventivo lavoro di valutazione effettiva delle differenze sostanziali che esistono nel nostro Paese. 

2° errore: la risposta referendaria è sbagliata perché secondo i promotori del referendum la legge sarebbe eversiva rispetto all’unità nazionale. Questo non è vero, questa legge è semplicemente inapplicabile in questo momento per le ragioni già dette (le differenti condizioni socio-economiche tra nord e sud). Se l’Italia oggi è divisa, lo è a causa della gestione centralista non della scommessa regionalista. Dalle parole dei referendari si percepisce che solo lo stato centrale può garantire l’equità dei diritti, l’equilibrio nello sviluppo, le pari opportunità; è esattamente il contrario del pensiero autonomista. La scommessa del 2001 era l’opposto, era un investimento su un concetto di stato e di democrazia assolutamente diversa. Sono preoccupato degli effetti potenziali di questo messaggio perché produce in alcune regioni del nord un atteggiamento di frustrazione perché ormai da tempo si sentono in grado di acquisire ulteriori competenze e responsabilità di autogoverno e ciò, secondo me, non ha nulla a che fare con la vecchia pulsione secessionista. Ma produce effetti negativi anche al sud dove c’è una rete di presenze sociali e politico-istituzionali; anche lì è cresciuto in questi anni il desiderio di non immaginare il loro futuro solo in termini di dipendenza da Roma, dove lo sviluppo è solo esogeno, cioè dato dalla quantità di soldi che lo stato trasferisce senza un principio di responsabilità, cosa che peraltro ha anche stimolato rapporti tra classe politica ed elettorato non certo virtuosi.

Alla fine ne consegue che non si affrontano i problemi dell’Italia delle contraddizioni.

Avrei preferito la scelta che hanno fatto alcune regioni di referendum abrogativo parziale per salvaguardare la parte della legge che ha avviato il processo di attuazione del titolo quinto e avrei preferito che su stimolo dell’opposizione si cominciasse perché no una raccolta firme su un provvedimento che disciplinasse adeguatamente le procedure per trasferire alle regioni ordinarie determinate funzioni, perché il titolo quinto è patrimonio del centro-sinistra riformista, regionalista e autonomista, frutto della nostra cultura solidarista non egoista. E anche il nostro ruolo come Trentini non può essere di disinteresse; noi la perequazione, la solidarietà l’abbiamo praticata come nessun altro territorio, perché noi crediamo a un’idea solidaristica dell’autonomia, ma crediamo però ad all’”Autonomia”, al principio dell’autogoverno e non pensiamo di essere gli unici titolati ad esercitarlo. Non possiamo pensare che nessun’altra regione italiana, a modo suo, possa costruire un suo percorso di autogoverno. Il problema è come attuarlo 

3° errore riguarda le regioni a statuto speciale: è una follia che nel testo della 86 ci sia quel riferimento all’attuazione da parte delle regioni a statuto speciale per ampliare le proprie competenze.

Noi abbiamo la riforma dello statuto e le norme di attuazione per fare questo. Qui anziché rendere un po’ meno ordinarie le regioni a statuto ordinario, si rendono più ordinarie le regioni a statuto speciale.

Penso che invece che agganciarci a questo carro che è l’autonomia differenziata con tutte le incertezze e le incognite che ha, sarebbe meglio per noi affrontare il tema che riguarda la modifica dello statuto, che abbia quel senso di recupero della “specialità”, come innovazione, l’apertura a nuovi orizzonti, il tema della costruzione di nuove regioni europee transfrontaliere. L’errore sarebbe agganciarci semplicemente alla Calderoli senza tener presente che noi siamo una Comunità autonoma che lo stato ha riconosciuto e con lo stato abbiamo sempre trattato bilateralmente in base a un principio di intesa.

Seguono alcuni interventi/domande dal pubblico.

Si ribadisce che la determinazione dei LEP/LEA è delegata al governo e che, secondo Dellai, “purtroppo la campagna referendaria demolisce il principio regionalista autonomista”.

 

A cura di Angelo Rigotti

 

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