La vicepresidente Gerosa dice che la «politica deve lavorare per creare opportunità». D’accordo, ma se una iniziativa è un flop la politica ha pure la responsabilità di riconoscerlo e porvi rimedio. Se si rivela inefficace, infatti, è suo dovere correggere il tiro e, se necessario, abbandonarla qualora non funzioni. L’ostinazione nel difendere progetti fallimentari per mera convenienza politica è uno dei problemi più gravi nella gestione pubblica.
La scuola Liceo Made in Italy (LMI) non funziona se in tutta la provincia sono arrivate solo 16 iscrizioni. L’obiettivo dichiarato, sempre secondo la vicepresidente, era quello di preparare i giovani a operare in ambiti strategici per l’economia locale, come il turismo. Tuttavia, il rischio evidente è che il percorso non sia realmente pensato per garantire una formazione ampia e critica agli studenti, ma piuttosto per rispondere alle esigenze di un settore economico, il turismo, che necessita di forza lavoro flessibile e specializzata.
Il comparto, infatti, rappresenta una delle principali attività economiche del Trentino, ma è anche un settore caratterizzato da stagionalità, contratti precari e mansioni spesso mal retribuite. In questo contesto, il LMI rischia di diventare un canale formativo che alimenta la domanda di personale da parte delle imprese turistiche, senza offrire agli studenti una reale prospettiva di crescita professionale o culturale.
La struttura di questo liceo, che include laboratori e competenze specifiche legate al territorio, appare più orientata a soddisfare i bisogni del mercato del lavoro che a sviluppare negli studenti capacità critiche e trasversali. Questa impostazione riduce la scuola a uno strumento funzionale alle dinamiche economiche, sacrificando il ruolo educativo che dovrebbe invece essere il fulcro del sistema scolastico.
L’interdisciplinarità e la «laboratorialità» sbandierate dalla vicepresidente Gerosa rischiano di tradursi in una formazione troppo settoriale e limitata, che non prepara gli studenti a una carriera diversificata o a un percorso universitario solido, ma li indirizza direttamente verso settori con scarse prospettive di stabilità economica. Questo secondo il mio modesto parere è ciò che probabilmente hanno pensato i trentini del LMI; la riprova sta nel numero delle iscrizioni.
Giovanni Clementel
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