Viviamo in un Paese che si vanta di essere una democrazia moderna, fondata sul rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, principi sanciti con forza dalla nostra Costituzione. Tuttavia, una crescente discrepanza tra i principi enunciati e la realtà vissuta da molti cittadini mette in discussione la genuinità di queste affermazioni.
Infatti, pene più severe per chi protesta e per chi manifesta è la filosofia punitiva dietro il ddl Sicurezza che porta la firma di questo esecutivo. Ecco allora che sempre più spesso si assiste a episodi in cui le forze dell’ordine, anziché rappresentare un presidio di sicurezza e tutela per la popolazione, appaiono strumenti di repressione. Le cronache riportano di manifestazioni pacifiche sedate con una forza sproporzionata, di cittadini trattati con atteggiamenti che sconfinano nell’abuso di potere e di un clima di intimidazione volto a scoraggiare ogni forma di dissenso.
L’accelerazione del governo sul DDL Sicurezza, e soprattutto la volontà della Lega di non accettare modifiche in sede di terza lettura al Senato del provvedimento, non fa che consolidare questa percezione. Presentato come misura per garantire ordine pubblico, il decreto introduce norme che, di fatto, limitano il diritto alla protesta e rafforzano i poteri repressivi delle autorità. Un no netto allora va pronunciato soprattutto in merito allo “scudo penale” previsto per le forze dell’ordine. Un ordine pubblico che, dietro la facciata di protezione, sembra rispondere più all’esigenza di soffocare il malcontento che a quella di tutelare i diritti e le libertà dei cittadini.
In un contesto in cui le disuguaglianze sociali si acuiscono e la sfiducia verso la classe politica cresce, appare evidente che il dissenso non viene più considerato una legittima espressione di libertà, bensì una minaccia da neutralizzare. L’ossessione per il controllo sociale, mascherata da necessità di sicurezza, rischia di trascinare il nostro Paese verso una deriva autoritaria.
È fondamentale che i cittadini riprendano coscienza del loro ruolo nella democrazia. Le libertà conquistate con fatica non possono essere sacrificate in nome di un’idea distorta di sicurezza.
Bene ha fatto allora ad opporsi all’archiviazione del caso, Valentina, attivista di Extinction Rebellion, che l’estate scorsa era stata fatta spogliare e piegare in un bagno della questura di Bologna per una perquisizione disposta per ricercare materiale di propaganda. Già il fatto di considerare un qualsiasi materiale di propaganda elemento sovversivo dell’ordine costituito la dice lunga sullo stato in cui versa la cosiddetta democrazia in questo paese. Far spogliare poi una persona per verificare che tale materiale non si nasconda all’Interno del corpo ha del demenziale. Un caso analogo a quello accaduto a Brescia dove 23 persone, Attivisti di Extinction Rebellion, Palestina Libera e Ultima Generazione, sono state tenute oltre 7 ore in stato di fermo in Questura dopo che erano state fermate a seguito della manifestazione davanti alla sede della Leonardo spa di Brescia, società italiana a controllo pubblico attiva nei settori della difesa dell’aerospazio e della sicurezza. I fermati, in una nota, hanno precisato che “…tutte le persone sono state denunciate per radunata sediziosa (art 655 cp) per la sola partecipazione ad una manifestazione nonviolenta di dissenso, accensioni ed esplosioni pericolose (art. 703 cp) per aver acceso un fumogeno, per imbrattamento (art. 639 cp) per aver scritto Palestina Libera su un muro, e per concorso morale (art. 112 cp) per essere stati semplicemente presenti”. (da: IlFattoquotdiano 13 gennaio 2025). Le attiviste hanno denunciato di aver subito abusi in Questura: “Ci hanno chiesto di spogliarci, di togliere le mutande e di fare degli squat. Per dei controlli, hanno detto. Questo trattamento è stato riservato solo alle donne”. Un comportamento indegno da parte delle forze dell’ordine che denota in chi compie tali abusi una personalità distorta e per certi versi violenta e irragionevole.
Spetta allora a ciascuno di noi vigilare e opporsi a qualsiasi tentativo di ridurre gli spazi di espressione e partecipazione. Una società che rinuncia alla dignità dei suoi individui, infatti, non può che compromettere il proprio futuro democratico.
Giovanni Clementel
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