VIVIAMO NEL TEMPO DELL’INQUIETUDINE

Al momento stai visualizzando VIVIAMO NEL TEMPO DELL’INQUIETUDINE
Screenshot

da “Valsugana News” 07/2024

“Inquietudini” era il tema dell’“Agosto degasperiano” dell’anno scorso che ogni estate si tiene a partire da Pieve Tesino, paese natale di Alcide Degasperi.

L’ultimo a essere interrogato su questo tema era stato il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti il quale affermava che “oggi non c’è più un orizzonte di senso, quello che per i Greci era la natura, quello della parola di Dio per i cristiani del Medioevo, l’orizzonte della ragione dell’Età moderna. Oggi, nell’età della tecnica, non c’è senso perché il passato è sorpassato e il futuro è un miglioramento di procedure tecniche che non hanno alcun fine da realizzare, ma solo dei risultati da raggiungere. Ed è questa abolizione dei fini, appunto, che priva la vita di un orizzonte di senso”.
Citava il filosofo tedesco Heidegger che già nel 1952 sosteneva che “inquietante non è che il mondo si trasformi in un unico apparato tecnico; ancora più inquietante è che non siamo affatto preparati a questa radicale trasformazione del mondo”. E Galimberti aggiunge che “altrettanto inquietante è che non disponiamo di un pensiero alternativo a quello di far di conto, di fare calcoli economici, calcoli tecnici… Capiamo solo cosa è utile; non capiamo più che cosa è bello, che cosa è buono, che cosa è giusto, che cosa è vero, che cosa è sacro… E oggi siamo nella condizione che la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare”. Insomma, lo sviluppo tecnologico ci fa correre, ma non sappiamo dove ci sta portando. Credo che tutte le persone di buon senso si stiano chiedendo, infatti, dove stiamo andando e che non ci sia nessuno in grado di darci una direzione perché è in crisi la religione, è in crisi l’etica, è in crisi la giustizia ed è in crisi la politica. Come sostengono i due psicanalisti Miguel Benasayag e Gerard Schmit, nel loro bel testo intitolato “L’epoca delle passioni tristi”, “in questo tempo di incertezza, è tramontata quella sorta di messianismo scientifico che assicurava un domani luminoso e felice”. E aggiungono: “Oggi c’è un clima diffuso di pessimismo che evoca un domani molto meno luminoso per non dire oscuro… Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie… Il futuro, l’idea stessa di futuro, reca ormai il segno opposto, la positività pura si trasforma in negatività, la promessa diventa minaccia”. Un sintomo di questa crisi globale è la contestazione del principio d’autorità perché è diverso educare in una società stabile che ha fiducia nel futuro rispetto a una società in crisi che vive nella paura di quello stesso futuro. Una crisi che ha investito in pieno la famiglia e il concetto stesso di educazione. Dei genitori che non riescono a esercitare una sana autorità e a trasmettere ai figli dei principi e dei valori perché li hanno persi per strada travolti da un consumismo imperante e da una ricerca del piacere il cui conseguimento diventa il fine esclusivo della vita. In questa età, poi, viene anche a mancare quella trasmissione di abilità e competenze che rispettava un ordine gerarchico, che si tramandava di padre in figlio in quanto, ormai, i saperi tecnologici sono più patrimonio delle nuove generazioni che delle vecchie. Tutto ciò però ha creato ragazzi sempre più disorientati, ansiosi e fragili, inclini alla depressione dovuta alla paura di non farcela, a un senso di insufficienza di fronte a una società sempre più frenetica e performante. E, come dice ancora Umberto Galimberti in un suo bel testo, “L’ospite inquietante”, “la depressione e la tossicodipendenza sono le due facce di una medesima patologia dell’insufficienza che si prova a vincere con gli psicofarmaci e le droghe”. Ma poi ci sono sempre più giovani che non ce la fanno e si chiudono in casa o si rifiutano, anche giustamente, di buttare la loro vita in lavori alienanti e sottopagati e vivono ai margini o scappano all’estero. E allora, in quest’epoca d’ incertezza e d’inquietudine, cosa possono fare la famiglia e la scuola per contrastare il nichilismo cioè il non credere in nulla? Quell’“ospite inquietante”, appunto, che, spiega Galimberti nel testo sopra citato, “si aggira tra i giovani, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui”? Sicuramente occorre che i genitori, anzitutto, tornino a trasmettere quei valori passati purtroppo di moda come l’onestà, la responsabilità, il rispetto dell’altro, la solidarietà che sono il collante del vivere civile, ma con l’esempio e non a parole. Come dice lo psicoanalista Massimo Recalcati nel suo bel testo “Il complesso di Telemaco” in un tempo in cui si assiste all’ “evaporazione del padre”, c’è invece bisogno di “un padre radicalmente umanizzato, vulnerabile, incapace di di dire qual è il senso della vita, ma capace di mostrare attraverso la testimonianza della propria vita che la vita può avere un senso”. E c’è bisogno di una madre che non faccia la supermamma che imbriglia il figlio legandolo a sé anche quando può camminare da solo. E poi occorre che i genitori tornino a dedicare ai loro figli tempo e dialogo oggi spesso sottratto dalla fretta e dallo smartphone sempre connesso. Occorre infine che la scuola, al di là della trasmissione dei saperi, sappia accendere fuochi, interessi nei ragazzi per aiutarli a cogliere quei segnali che rivelano un loro talento. Un buon insegnante, infatti, può, portare un ragazzo a scoprire il suo “daimon” per dirla con lo psicanalista e filosofo Hilman (“Il codice dell’anima”) e cioè la sua missione che gli permetterà di realizzare se stesso.

a cura di Paolo Degasperi, psicopedagogia e sociologo

 

Rispondi